[vc_row][vc_column][vc_column_text]Da ormai molti anni è possibile imbattersi in numerose pubblicazioni scientifiche che cercano di individuare in anticipo l’insorgenza dell’Alzheimer nel sangue, una malattia che può avere origine genetica o meno. Gli studi sono molteplici, ma non accurati del 100 per cento nella ricerca della patologia. Ad oggi, come diceva Alois Alzheimer, scopritore della malattia, la diagnosi certa arriva solo dal tavolo autoptico.

La malattia

Nel DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) viene nominata come disturbo neurocognitivo maggiore o lieve dovuto a malattia di Alzheimer. I sintomi che vengono individuati più frequentemente sono:

 

  • perdita di memoria, specialmente a breve termine
  • confusione con tempi o luoghi
  • difficoltà a capire le immagini visive e i rapporti spaziali
  • incapacità di ripercorrere i propri passi
  • ridotta o scarsa capacità di giudizio
  • cambiamenti di umore e di personalità

 

In Italia sono circa il 6% degli over 60 e il 20% degli over 80 gli individui che vengono colpiti da quella che rappresenta la più comune causa di demenza. Le cause dell’insorgere non sono ancora ben comprese e una diagnosi probabile è basata sulla progressione della malattia.

Gli studi effettuati

La ricerca ha puntato sempre di più sui biomarker organici, cioè le proteine alterate che si accumulano fin dall’inizio del processo patologico. Un processo però difficilmente riscontrabile ai primi stadi. L’Alzheimer è infatti una patologia neurodegenerativa caratterizzata da un lungo periodo asintomatico.

 

Le analisi sono in via di sviluppo, specialmente quelle basate sulla ricerca nel plasma sanguigno di due proteine: la p-tau e la beta amiloide. Queste sono considerate tra i principali marker della malattia. Tuttavia alcuni studi pubblicati su varie riviste scientifiche tra cui Nature e Brain sembrano suggerire nuove strategie per una diagnosi precoce, per contenerne gli effetti della malattia e garantire ai pazienti la qualità della vita migliore possibile. Il tutto grazie ad un semplice prelievo, uguale a quello per l’esame del sangue.

 

Tali valutazioni sono ad oggi ancora in attesa di conferme definitive. Se però questi studi fossero confermati, il vantaggio principale consisterebbe nel poter selezionare in modo meno invasivo e più economico i soggetti non ancora dementi. Questi potrebbero in seguito venire avviati agli studi di prescreening strumentale e, possibilmente, anche ad un trattamento precoce.

 

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