Può capitare che a volte ciò che ci circonda eserciti su di noi una sorta di assuefazione, a tratti così forte da indurci a perdere consapevolezza del percorso fatto: tutto è così, insomma, perché così è sempre stato. Sforzi, impegno, persone e sogni, il motore primo di ogni gesto, vengono dimenticati e si acquisisce invece la normale abitudine di evidenziare difetti e mancanze, problemi e rancori.
A chi di noi non è successo, verso un lavoro, una struttura, una persona, sovente anche verso sé stessi? Niente e nessuno si può dire immune e troppo spesso, alla fine, quando per i più si sta parlando solo di un qualcosa di vecchio e sacrificabile, qualcosa crolla e nel silenzio, nell’indifferenza, si spegne.
Allora anche noi in momenti di difficoltà dovremmo essere allo stesso modo lasciati e rinnegati?
L’ultima cosa a cui tutti noi dovremmo ambire è uno stato di torpore emotivo, placidi nei nostri problemi e soddisfazioni, nella quotidiana consapevolezza di galleggiare fino a quando la ruota si ferma su di noi e ci tocca in un momento, quell’istante incredibilmente piccolo ma distruttivo, dove scopriamo di essere carne e ossa, deboli, malati, poveri, soli, un’anima fragile che ora è in pericolo, che può cadere.
James Joyce l’avrebbe chiamata epifania, una frattura con il passato che apre un futuro diverso dal nostro ideale programmato e ci apre nuovi orizzonti.
È incredibilmente bello vedere come in un momento altrettanto piccolo noi si venga salvati, fermati nella nostra caduta e circondati dalla luce di chi amiamo, o di chi ci ha cresciuti, o di chi si vuole occupare da ora in poi di noi, senza conoscere il nostro passato ma anche senza alcuna intenzione di arretrare.
C’è diffidenza, lo immagino, lo capisco in parte, ma oltre c’è la verità, c’è una rete che non intrappola ma sorregge ed è intrecciata a tutti i livelli sociali; è una rete fatta da professionisti che proteggono la nostra salute, da sanitari che con loro collaborano, da chi educa i nostri figli, da chi protegge le nostre vite, da chi ha più anni di noi e, nel nostro grande mondo, da chi non conosciamo ma ringraziamo e chiamiamo Donatore.
Se è vero che quando le persone sono unite sotto un’unica volontà diventano più forti della somma delle loro parti, allora la strada da prendere diventa chiara, l’associazione di più persone, di più caratteri, competenze, punti di vista è necessaria, per quanto complessa, per rispondere a un ventaglio di necessità egualmente ampio.
Nel nostro linguaggio questo si traduce in Associazione Volontari Italiani Sangue, sangue che, per chi lo dona è parte di sé, mentre per un malato che lo riceve è acqua di vita. Nel linguaggio dei numeri significa cinquantamila unità di sangue ed emocomponenti prelevate ogni anno, per gli ospedali significa sale operatorie funzionanti, per la cultura significa progresso sociale, per chi la frequenta è casa, per chi l’ha conosciuta è semplicemente Avis. Il dono del sangue è un gesto generoso volontario, periodico, anonimo e responsabile e tale dovrà sempre rimanere, respingendo tentativi di lucro e privatizzazione, lasciandolo nelle mani dei donatori che lo hanno creato; questo sarà l’obiettivo ben saldo da porre al centro di qualunque dialogo e tavolo di lavoro, locale e nazionale, oggi e domani.
L’uomo che dona il suo tempo agli altri muove sentimenti antichi, nobili e quindi nobilitanti: non più una società che emargina il diverso, ma un unico linguaggio di inclusione.
Mentre scrivo questo articolo sono in volo su Atene e non posso fare a meno di ricordare quando la recente crisi economica che colpì il Paese, interessando anche il settore sanità, rese inevitabile l’acquisto di numerose unità di sangue intero ed emoderivati dall’estero: solo mantenendo alta la sensibilità individuale, l’informazione e la consapevolezza della popolazione e dei governanti ci si può dire pronti ad affrontare momenti di vera emergenza.
Negli ultimi anni in Italia si è stabilito un trend di lieve diminuzione nella donazione di sangue,
sia in termini di netto per anno che per tasso di donazione del singolo donatore; sommando a ciò la necessità di una raccolta continuativa anche nel periodo estivo risultano motivati e chiari i frequenti appelli di Avis in tutte le Sezioni affinché davvero ognuno porti il proprio contributo, dai diciotto anni, in salute, sopra i cinquanta chili.
A tal riguardo risulta per me essenziale ringraziare tutti i donatori, dal più giovane all’instancabile vecchia guardia, senza i quali la nostra associazione non sarebbe in essere. Contemporaneamente vorrei ricordare come chiunque, anche chi non è idoneo alla donazione, può trovare il proprio posto nella macchina organizzativa di Avis a fianco degli altri volontari per disporre e gestire giornate di raccolta della propria sede.
Le realtà impegnate nel mondo dell’assistenza e del volontariato nel nostro Paese sono centinaia e questo non può che essere lo specchio di una non comune sensibilità ed interessamento al prossimo di cui il nostro popolo si fa carico quotidianamente, provando il senso latino della compassione “cum-patior”, il soffrire insieme, accanto alla condivisione di piccoli grandi emozioni che, vogliate credermi, ripagano di tutta la fatica. Chi lo prova non ritorna sui propri passi, chi scende in campo porta il proprio tempo e impegno, umiltà e gratuità. La differenza sta nei dettagli di quel che facciamo; il nostro è un dono di vita in un gesto semplice.
Quindi perché aspettare?
Il momento giusto è già arrivato: io sono uno di loro perché prima mi sono trovato dall’altra parte, dove un sorriso è aria calda che ti sorregge mentre cadi e ti stringe la vita addosso.
– Dr. Riccardo Morandi