[vc_row][vc_column][vc_column_text]Pubblichiamo di seguito il primo di 6 articoli legati alla storia dell’Ospedale Civile di Brescia. Nei prossimi mesi La Goccia Magazine pubblicherà i successivi 5 articoli nella rubrica Avis Storia. Non perderli.

Il Civile di Brescia – Una struttura e la sua storia come momento di svolta della sanità bresciana – 1 parte

La vicenda della costruzione e degli attuali Spedali Civili e del seguente trasferimento dei reparti e dei degenti presso la nuova sede nasconde in realtà dinamiche e realtà ben più complesse.

Vicende di carattere architettonico, di edilizia ospedaliera ma anche del disegno della nuova Brescia fra guerra e dopoguerra. Le intelligenze di medici e amministratori, le scoperte della medicina contemporanea avvenute anche grazie all’apporto delle esperienze bresciane, biografie umane e spirito di “brescianità”, sembrano essere ragioni sufficienti, nel loro stretto e vicendevole rapporto, per cercare di comprendere più a fondo questa che all’apparenza può sembrare una sorta di “microstoria” nel fluire delle vicende cittadine e della medicina di questo secolo, ma che assume invece valenza esemplificativa di come in fondo proprio dallo studio di questi eventi possano uscire una pluralità di utili indicazioni.

 

Ricostruire luoghi, date, eventi, mentalità e difficoltà di quel periodo è innanzi tutto un modo per comprendere differenze ed analogie con l’agire di oggi, in una città che sembra ancora essere alle prese con le medesime difficoltà di allora.

Il tempo delle scelte

La decisione di realizzare un nuovo ospedale è presente in città almeno dalla fine del secolo scorso. E per la verità già alla conclusione del trasferimento dell’Ospedale Maggiore da S. Luca a S. Domenico (avvenuto nell’anno 1844), i problemi di una migliore razionalizzazione dei servizi erano rimasti in pratica irrisolti. La disposizione delle sale nel vecchio convento, allargamenti e abbattimenti, non sono certo ottimali. Nel 1882 la direzione chiede una radicali ristrutturazione, sempre procras­tinata nel tempo.

 

A cavallo del nuovo secolo l’insufficienza dei locali ospedalieri diviene fonte di costante preoccupazione per l’amministrazione cittadina. Il dibattito si accende. Le posizioni individuavano da una parte la possibilità di ristrutturare gli antichi fabbricati e, dall’altra, di realizzare una struttura ex novo fuori le mura. Si assumono toni accesi, fra pressioni politiche e polemiche graffianti. Alla base, comunque, la riconosciuta necessità di dotare la città di un ospedale funzionale e moderno, “l’optimum di quanto sia ora tecnicamente possibile e soprattutto desiderabile, come ricorda una relazione stesa nel secondo decennio del secolo scorso per la progettazione di un nuovo ospedale e che porta guarda caso la firma di quello che sarà, dopo un ventennio, il suo geniale progettista: Angelo Bordoni.

Il vecchio ospedale di Brescia

In effetti la situazione del vecchio ospedale è ormai al limite del collasso. Bastano alcune cifre ufficiali a confermarcelo. Nel 1896 le presenze erano 146.000, che divengono 188.000 nel 1901 e ben 220.000 nel 1905. La progressione rimane costante anche negli anni successivi. Una descrizione datata 1930 ci rimanda infine una situazione davvero disperata, che il linguaggio tecnico-edilizio usato ancora dallo stesso Bordoni non riesce davvero a nascondere, rivelandoci un disagio che doveva essere proprio dell’intera medicina bresciana:

 

“Fatta eccezione per le case di abitazione per l’ospedale sono fabbricati di un piano oltre il pian terreno: grosso modo si possono classificare per un terzo come porzioni residue del vecchio chiostro di San Domenico (sec XVI), per un terzo opere di riforma eseguite circa un secolo fa e per un altro terzi opere aggiunte in data più recente. /…/ L’insufficienza dei cortili si riflette soprattutto sulle condizioni generali di abitabilità del piano terreno che sono discrete solo per qualche reparto, sono cattive o addirittura pessime per la maggior parte degli altri. Si aggiunga che un buon numero dei locali non sono né scantinati né provvisti di vespaio  e che la luce e l’aria viene per quasi tutti di sotto i portici che circondano i chiostri ove il sole batte appena d’estate. Porzioni di fabbricato poi sono quasi esclusi dall’illuminazione e dall’areazione diretta./…/ In generale il tipo di infermeria muta continuamente da un reparto all’altro ed i livelli dei pavimenti seguono con variazioni anche all’interno di uno stesso reparto oltre che fra reparto e reparto. Per quaranta ammalati di chirurgia esiste una sola latrina ed in altri reparti esiste un unico bagno ogni 50 ammalati. Buona parte dei bagni, e si e’ visto quanti sono, per essere usati, occorre riempirli con l’acqua calda che gli infermieri portano a secchi”.

La realizzazione del nuovo ospedale: uno spreco di denaro?

Tralasciamo altre parti della lunga relazione, ma quanto detto è certamente sufficiente a rimandarci una situazione davvero critica, accettata tranquillamente per decenni anche da medici e paramedici, che ebbero comunque il modo (come rivelano le lettere custodite negli archivi dell’ospedale di questi decenni) di distinguersi per abnegazione, disponibilità e cul­tura medica. Ed è in fondo anche merito loro se quella struttura potè resistere così a lungo e anzi, essere culla di alcune iniziative invidiateci da altri ospedali ben più strutturalmente avanzati.

 

Una pressante campagna di stampa che vede in un nuovo ospedale fonte di sprechi e di elevati costi di gestione rallenta comunque l’avvicinarsi della nuova realizzazione. Ma per questa lavorano alacremente gli amministratori del nosocomio. Essi evidentemente conoscono sulla propria pelle le difficoltà della quotidianità in questa sorta di “istituto che si regge su gambe vecchie di secoli e pietosamente aiutate dalle grucce di continui adattamenti” come ricorda il presidente del tempo.

 

Sembra che in questi frangenti esca allo scoperto la diligente attenzione, l’accortezza fatta di pragmatismo dei dirigenti bresciani. Per altri, per la stampa e per la borghesia cittadina è solo questione di denaro “sprecato”. Per essi è prima di tutto una questione umana, di vite sofferenti spese fra vecchie mura, al buio ed all’umidità. Quasi si trattasse del Settecento e non di una cinquantina di anni or sono.

Un faticoso inizio dei lavori per il Civile di Brescia

Così si agisce in sordina, senza chiasso ma concretamente. Nel 1911 vengono decentrati i malati di mente nel Manicomio Provinciale, si realizzano nuovi laboratori di analisi e la scuola per infermieri. Si da il via inoltre agli Istituti di radioelettrologia, radiumterapia e di anatomia-patologia. Ma soprattutto ci si da un gran daffare per ricercare un’area adatta ad ospitare l’inevitabile nuovo edificio e i relativi finanziamenti.

 

Una apposita commissione viene creata nel 1906. A presiederla è il direttore sanitario dott. Aporti e il documento finale è il quadro di una Brescia che è già alle prese con il progresso.

 

“Il crescente sviluppo industriale ed edilizio della nostra città”, recita il documento, “ostacola grandemente questa ricerca e la rende ormai impossibile in alcune località se non distanziandosi di molto dalle porte della città, ed appare evidente come tale condizione sia sotto ogni altro aspetto di danno e di noia. Gli speciali bisogni di un ospedale obbligano alla ricerca dell’area per questo a determinate zone le quali, fra l’altro, siano prossime alla città in posizione salubre, ventilata e sottovento, con facili frequenti e non dispendiosi mezzi di trasporto dalla città, munite della distribuzione dell’acqua potabile in pressione e di quella del gas illuminante, attraversata da un corso d’acqua che possa servire da collettore per la fognatura”.

Nelle prossime settimane seguirà la seconda parte della storia degli Ospedali Civili di Brescia.

 

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