L’idea che la trasfusione di sangue fra umani potesse accrescere le probabilità di guarigione da malattie o operazioni chirurgiche, è più antica di quel che si pensa.
Il primo tentativo di raccolta e trasfusione del sangue storicamente documentato avvenne nel 1492, tentando di salvare la vita di Papa Innocenzo VIII, senza successo. Dopo quest’episodio, seguirono oltre 400 anni di tentativi sporadici, qualche volta con risultati disastrosi altri con benefici di scarsa rilevanza.
Trasfusioni braccio a braccio, salassi e siringature hanno provato a determinare nuove possibilità. Nel bresciano note sono le prove di trasfusione compiute con sangue di agnello sui pazzi del manicomio cittadino.
Attraverso questi esperimenti i ricercatori che si sono dedicati alla raccolta e trasfusione del sangue affrontarono numerosi problemi: dalla scelta del tipo di sangue, venoso o arterioso, da animale o donatore umano, alla quantità di sangue da trasfondere ed alle modalità d’infusione (strumenti, velocità d’infusione, mezzi per evitare la coagulazione, ecc.).
L’evoluzione della trasfusione di sangue dal XIX secolo e il sistema ABO
Alla fine del XIX secolo, l’adozione definitiva di sangue umano ed i metodi scelti per raccoglierlo e trasfonderlo portarono a risultati spettacolari e ad incidenti mortali. La letteratura medica dal 1840 al 1875 registrò, su 317 trasfusioni, una percentuale del 50% di mortalità dovuta a tre cause principali: emboli per sangue coagulato, inquinamento da germi, batteri, tossine per mancanza di asepsi e trasfusione incompatibile.
La scoperta fondamentale che ha posto fine alla fase sperimentale della trasfusione che durava da molti secoli è stata la determinazione dei gruppi sanguigni, quando Landsteiner nel 1900, descrivendo e classificando il sistema AB0, gettò le basi scientifiche e tecniche della trasfusione moderna.