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Pubblichiamo di seguito il primo di 5 articoli legati alla storia della trasfusione di sangue nella città di Brescia. Una storia appassionante, con numerosi protagonisti, che ha segnato inevitabilmente un’epoca ed ha contribuito allo sviluppo di una realtà importante come Avis. Nei prossimi mesi La Goccia Magazine pubblicherà i successivi 4 articoli nella rubrica Avis Storia. Non perderli.

La prima trasfusione di sangue bresciana avvenuta nel 1913

Il 3 giugno 1913 si registra a Brescia una trasfusione braccio a braccio, una vera e propria operazione chirurgica. L’obiettivo è di mettere a contatto l’arteria radiale del donatore con una vena del ricevente, con un lento travaso del prezioso liquido. “Un esito assolutamente ammirevole dell’operazione”, scriveva il 22 luglio 1913 il direttore dell’Ospedale dei Bambini Umberto I ove ebbe luogo la trasfusione, “dovuto all’animo tranquillo da parte del soggetto donatore”.

 

È un evento che i giornali segnalano fra le vicende importanti della città. Una città sempre attenta alle notizie che riguardano fortune e sfortune del quotidiano vivere. Poche righe per riepilogare una vicenda particolare, degna del libro “Cuore” di De Amicis, che avrà una certa eco anche su testate nazionali. Un giovanissimo ragazzo, Angelo Frosio di 7 anni, dona il proprio sangue ad un piccolo ricoverato presso l’Ospedale dei Bambini, Fernando Ravasio, di 3 anni, affetto da “anemia acuta per emorragia”, come rammentano le cronache del tempo. Si è rotto un labbro ruzzolando dalle scale del casermone del quartiere e la quantità di sangue perso è enorme.

 

La famiglia del piccolo malato abita in un grande caseggiato. È vicina di casa della famiglia Frosio, che partecipa al dolore degli amici i quali hanno già perso due figli a causa dell’emofilia. Quindi pure nella famiglia Frosio si parla di sangue, di donazioni, anche se, probabilmente non ci si rende conto neppure di come sia possibile dare sangue ad un’altra persona. È il piccolo Angelo, con la generosità propria dei bambini, ad esprimere il desiderio di aiutare l’amichetto. Ovviamente molta è la perplessità e i timori da parte dei genitori per la salute del figlio, ma poi rassicurati dai medici, danno il consenso.

 

Per la prima volta nella città del Novecento si sperimenta la trasfusione diretta, da donatore a ricevente. Ad assistere il dottor Magrassi, illustre professionista, vi sono i collaboratori dr. Gaffurro e dr. Farina, e due infermiere della Croce Rossa, le nobili Lia Bisogni ed Elisa Seccamani Bronzetti.

Questa è la breve descrizione, stesa quello stesso giorno, dello storico evento:

Nel riparto chirurgico di questo Spedalino dei bambini veniva accolto il 9 giugno u. s. Fernando Ravasio, di anni 3, in gravissime condizioni di anemia acuta per emorragia, proveniente da una ferita al labbro inferiore.

 

Già due suoi fratellini erano morti per dissanguamento dovuto ad emofilia. Malgrado le più energiche e scientifiche cure, il sangue, sfornito del potere di coagulazione, continuava a fluire dalla piccola ferita, ed il bambino pareva ormai inesorabilmente condannato. I1 chirurgo, dott. cav. Magrassi, assistito dai dottori Farina e Garuffo, pensò allora alla trasfusione del sangue, preso da un bambino sano, al morente. Il generoso donatore fu trovato – previo consenso dei parenti – in un bambino di 6 anni, certo Angelo Frosio. Il chirurgo aperse l’arteria radiale del piccolo Frosio e la mise in diretta comunicazione con una vena del piede del Ravasio. Per tre quarti d’ora venne lasciata aperta tale comunicazione, e per tutto questo tempo il sangue passava dall’organismo sano in quello del piccolo malato.

 

L’effetto fu meraviglioso: l’emorragia nel sofferente si è arrestata, ed egli si rimise così rapidamente che è completamente guarito. Anche il Frosio potè due giorni dopo tornare alla scuola, dove le Autorità, i maestri ed i compagni gli offersero, fra grandi feste, una medaglia d’argento. La delicata operazione fu sopportata dal fanciullo con ammirabile coraggio e con animo tranquillo: senza essere addormentato egli rimase per tre quarti d’ora immobile, mentre il sangue gli usciva dal corpo sano e fiorente per passare in quello del piccolo malato. Oltre ai sanitari su nominati, assistettero alla rara operazione due signore infermiere della Croce rossa, le nobildonne Lia Fisogni De Vecchi ed Elisa Seccamani Bronzetti, le quali potranno attestare sui riferiti particolari”.

Il giovane donatore diventò un piccolo eroe

Angelo Frosio ricevette dalla Municipalità di Brescia e dall’Ateneo una medaglia d’oro al merito filantropico, il “Premio Carini”. La commissione preposta alle assegnazioni dei premi alla bontà non ebbe alcun dubbio e nel 1914 decise di consegnare il primo premio al giovanetto Frosio, con queste motivazioni:

 

La Commissione, se da un lato riconobbe la relatività del pericolo in una operazione, condotta da così esperto chirurgo e confortata dall’assistenza di altre anime buone e premurose, e se ammise fors’anche qualche ombra di inscienza nel piccolo soggetto, che affrontò la prova, diremo così, del sangue, sentì dall’altro tutta la simpatia per il caso eccezionale di solidarietà, di fratellanza e di affetto, e volle premiarlo colla medaglia d’oro, perché meglio rappresenta l’eroismo, prodotto non da subitaneo impulso, ma dalla ferma, continuata volontà di portare ad altri la salute. Se il bene è la più vera gloria della natura e gara a tutti egualmente aperta, qual maggior pregio non riveste quando viene da un fanciullo? Noi vogliamo educare forti e generose coscienze, paghe di se e dell’alto fine che le muove, come le vogliamo informate dei doveri che le attendono nella vita famigliare e cittadina.”

La storia di Avis: i meriti dei pionieri, dalle origini al periodo postbellico fino ai giorni nostri. Il difficile percorso di Avis nelle parole del prof. Mario Zorzi. Leggi l’articolo, clicca qui.

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