[vc_row][vc_column][vc_column_text]Continua da “Medicina e sanità bresciana del secondo Novecento: Contro il male del secolo”. Clicca qui per leggere l’articolo.

Un ospedale “nucleare”

Il “cuore” dell’Istituto del Radio batteva nel Centro Alte Energie, un complesso costruito in cemento armato, con spessore delle pareti di un metro, sostituite nelle zone a rischio da pareti di calcestruzzo di bario. Il tutto ad una profondità di 5 metri sotto il giardino dell’ospedale, ricoperto al solettone del soffitto da due metri di terra. Ovvero 11.000 mc di terra sbancata, quasi 5.000 mc di cemento utilizzato.

 

Anche in questo caso i numeri del Centro potrebbero oggi far sorridere gli esperti, ma alla fine degli anni Cinquanta si trattava davvero di una esperienza all’avanguardia. Televisione a circuito chiuso, 300 kW di potenza impegnata, vetri di 30 cm di spessore eccetera, sono elementi per comprendere il grado di studio e la costante attenzione alla sicurezza di medici e pazienti.

Appare utili fornire l’elenco, pur sommario, dei macchinari presenti nel Centro Alte Energie, che prevedeva anche agli inizi degli anni Sessanta una “macchina classificatrice e perforatrice IBM per rilevazioni statistiche”, ovvero un antenato dei moderni computer.

Accanto alle sale ambulatorio e di applicazioni, il Centro ospitava al suo interno un Betatrone da 18 MeV, una unità di cobaltoterapia da 3000 curie ed un’altra da 2000 curie (che nel gergo tutto referenziale del settore veniva chiamato “bomba al cobalto”); una unità di cesioterapia da 2000 curie, un impianto di roenthgen terapia da 300 kV, un impianto di plesioroentgenterapia. Non mancavano naturalmente Geiger per controlli, per un Centro che si avviò alla piena funzionalità a partire dall’anno 1962.

 

L’archivio degli Spedali Civili conserva il voluminoso carteggio relativo alla realizzazione del Centro Alte Energie. Buona parte di quelle carte costituiscono, nelle forme di studi, corrispondenza internazionale, collaudi e statistiche, il riferimento alla meticolosa attenzione con cui si procedette alla realizzazione e, soprattutto, alla disposizione in chiave di sicurezza anti radiazioni per medici e pazienti.

Uomini e macchine nella sanità bresciana del secondo Novecento

Le risorse umane mobilitate per l’Istituto del Radio rappresentano un altro indicatore della lungimiranza e dell’intuito coraggioso dell’amministrazione ospedaliera bresciana. Queste non esitarono nel rendere praticabile e concreta la decantata autonomia dell’Istituto, consentendo la creazione di un pool di medici affiatati, ma affiancati da una nuova figura professionale, quasi del tutto inedita negli ambienti ospedalieri: quella di un fisico.

L’istituto e il Centro erano infatti serviti da sei medici (un Primario, un aiuto radiologo, un assistente medico, tre assistenti radiologi) e dal citato fisico nucleare. Nei primi anni di attività offrirono la loro competenza a circa 2500 pazienti l’anno, mentre negli ambulatori dell’istituto si effettuavano anche circa 7500 visite l’anno.

 

La decisione di accorpare l’Istituto del Radio Olindo Alberti e la sezione di radiologia ospedaliera, unitamente alla realizzazione del Centro Alte Energie, porta alla nomina, nel 1959 del nuovo responsabile, il prof. Mauro Piemonte. Piemonte era già stato aiuto primario presso l’istituto dei Tumori di Milano ed aveva conseguito l’abilitazione all’insegnamento universitario presso le Università di Palermo e di Pisa. Come vedremo tuttavia preferirà l’esperienza della sanità bresciana.

Sarà lui che imprimerà alla vita dell’Istituto la direzione della costante innovazione tecnologica, che manterrà l’Istituto del Radio di Brescia a livelli di primato mondiale per interi decenni. Una visione aperta, indirizzata a questo percorso di costante attenzione alle più recenti scoperte della scienza e della tecnica, che si radicano, è lui stesso ad ammetterlo, in quelle iniziale decisione di dedicarsi alla vita dell’Istituto Olindo Alberti.

La testimonianza del prof. Piemonte

Dopo la sua scomparsa, la testimonianza resa qualche stagione or sono appare ancora più preziosa:

 

“Alla fine del 1960 fui invitato ad una seduta del Consiglio di Amministrazione in cui si doveva tenere la discussione definitiva in merito alla soluzione dei problemi concernenti l’Istituto. A conclusione della disamina approfondita si giunse alla decisione di accettare le mie richieste e di dar vita a un Centro Alte Energie. A chiusura il consigliere Francesco Montini mi disse: Ecco professore; noi abbiamo deciso di fare quello che lei ha chiesto, ma poi lei fra qualche anno fa un concorso universitario, se ne va, e noi restiamo con un elefante bianco in casa. Che cosa ne pensa? La mia risposta fu pronta: Dott. Montini, quindici giorni fa si é chiuso il concorso per la cattedra di Radiologia di Padova ed io non vi ho partecipato. Da parte del dott. Montini una conferma: Lo sappiamo già ed é una notizia che ci da molto conforto. È anche per questo che ora ci troviamo a  discutere dello sviluppo del suo istituto. A mia volta ripresi: io desidero che gli Spedali Civili di Brescia mi diano la possibilità di creare un Istituto di Radioterapia oncologica che sia alla pari dei migliori Istituti del continente. A questa condizione dichiaro che darò tutta la mia disponibilità e attività all’istituto e che non farò nulla all’infuori di ciò. Questo gentleman agreement non sottoscritto in documenti ufficiali e non suggellato nemmeno da una stretta di mano é stata la regola che ha governato i rapporti fra me e l’istituto e gli Spedali Civili”.

 

Nel 1978 il prof. Mauro Piemonte viene nominato Presidente della Società italiana di Cancerologia. Nel 1985 il prof. Piemonte lascia la direzione dell’Istituto. Un mutamento che si innesta in un momento di particolare difficoltà della sanità locale e nazionale e che influirà come vedremo notevolmente sulla stessa attività dell’Istituto.

Crediti immagine: www.amiciistitutodelradio.org

Leggi anche:
La storia di Avis. I meriti dei pionieri della sanità, dalle origini al periodo postbellico fino ai giorni nostri. Il difficile percorso di Avis nelle parole del prof. Mario Zorzi. Leggi l’articolo, clicca qui.

Condividi questo articolo!

Ultimi articoli